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Sara Meneghetti

Lino’s&Co inaugura le Membership Aziendali di Fucina

By Membership Aziendali, TuttiNo Comments

Lino’s&Co, impresa creativa nel cuore di Verona

Lino’s & Co è uno spazio creativo nel cuore di Verona, quello che si dice tecnicamente un co-working. E’ un posto dove creativi e consulenti del mondo della comunicazione si occupano di progettazione grafica, web, fotografia, video e consulenza marketing e strategica non solo con un’ottica di compresenza ma anche di collaborazione e scambio.

All’interno del co-working sono nati anche un laboratorio di stampa tipografica e un FabLab dove – dice il sito di Lino’s – “sperimentare, sporcarsi le mani e scoprire cose nuove”. E il volto di Lino’s & Co., con ingresso da vicolo Valle a Verona, è una bottega artigianale, un concept space innovativo che vende prodotti stampati e di design.

Uno dei bellissimi prodotti realizzati nella bottega di Lino's & Co.

Benvenuti nella tipografia Lino’s&Co: clandestina per una notte

Avevamo già conosciuto questa realtà che per qualche mese aveva ospitato gli uffici organizzativi di Fucina, ma che soprattutto ospita uno dei media partner più agguerriti di Fucina Culturale Machiavelli: Salmon Magazine.

Ma il 21 aprile 2018 è successo qualcosa di speciale. All’interno di questo spazio è stato ospitato lo spettacolo di Teatro Clandestino, della stagione 2017.2018 #DoveNonSiamoMaiStati di Fucina. Proprio per onorare l’hashtag della stagione, abbiamo veramente voluto portare il nostro pubblico in uno spazio non teatrale – almeno sulla carta – dove vivere un’esperienza unica. Gli spettatori dovevano prenotare a occhi chiusi e l’hanno fatto a frotte (costringendoci felicemente a organizzare una replica aggiuntiva). L’evento si è rivelato essere una produzione originale di Fucina (chi è curioso può leggere questo articolo sul Teatro Clandestino svelato) che con lo spazio ha dialogato e dallo spazio ha tratto spunto.

L’ambientazione del Teatro Clandestino chez Lino’s & Co. infatti è stata la tipografia clandestina di Hendrik Nicolaas Werkman, stampatore e artista irriverente che ha sfidato la Gestapo durante gli anni dell’occupazione della propria città, dando la vita per la causa della libertà di stampa. Ospite eccezionale dell’evento è stato Alessandro Bombieri, stampatore che ha imparato la nobile arte della tipografia per farne il proprio mestiere (leggi qui la storia di Alessandro Bombieri, stampatore).

Alessandro Bombieri stampatore

Lino’s&Co inaugura le Membership Aziendali di Fucina

La generosità e l’accoglienza dei ragazzi di Lino’s & Co. ci ha spinti a renderli membri onorari di Fucina Culturale Machiavelli, sostenitori a tutti gli effetti della cultura, della creatività e del significato che a noi sta molto a cuore racchiuso in questa frase: “Art begins at the end of the comfort zone“.

Per questo, dopo i molti spettatori affezionati che hanno deciso di aderire, Lino’s & Co. è l’impresa di Verona che inaugura la strada delle Membership Aziendali di Fucina culturale Machiavelli. Sveleremo presto altri dettagli.

Grazie!

uno scatto dallo spettacolo di Teatro Clandestino da Lino's&Co

teatro clandestino verona
Blue-Note-New-York-Jazz-Bar

Sergio Baietta pianista al Blue Note di New York

By artisti in fucina, Musica, TuttiNo Comments

Sergio Baietta al Blue Note: un pezzo di Fucina a New York

Sergio Baietta pianista e direttore principale dell’Orchestra Machiavelli si trova oggi a New York per suonare nel leggendario Blue Note di New York, tempio della musica jazz, insieme a Mika e Richard Stoltzman e a Duke Gadd.

Sergio come sei finito a New York?

La collaborazione con Mika e Richard Stoltzman è iniziata l’anno scorso, per il concerto al “Settembre dell’Accademia” dove abbiamo vissuto davvero un esperienza stimolante e divertente con l’Orchestra Machiavelli al Teatro Filarmonico di Verona.

Qui sotto un video dal Concerto dell’Orchestra Machiavelli al Settembre dell’Accademia: il concerto per clarinetto di Aaron Copland suonato dal grande Maestro Richard Stoltzman e diretto da Sergio Baietta.

Coosì questa primavera con grande piacere ho accettato l’invito di esibirmi con loro al Blue Note di New York come special guest dove terremo due Gig davvero speciali e divertenti con musicisti raffinati e di alto livello.
Avrò il piacere di esibirmi infatti anche con il bassista Pedro Giraudo, il chitarrista John Tropea e Duke Gadd alla batteria figlio del grande Steve Gadd.

Lavorare a stretto contatto con dei giganti della musica è un privilegio impagabile, non solo per il concerto in sè ma anche per tutti i piccoli accadimenti nel quotidiano prima e dopo la performance, vedere come vivono, come si preparano, assistere da vicino alla loro vita ti fa crescere.

> Qui la pagina dell’evento sul sito del Blue Note di New York

sergio-baietta-pianista

Non è la prima volta in cui hai l’occasione di suonare dall’altra parte del mondo, però.

E’ vero, solo pochi mesi fa ho avuto l’occasione di esibirmi in Giappone all’interno di un Concerto di pace dedicato alla celebrazione dei 45 anni di normalizzazione delle relazioni diplomatiche tra Giappone e Cina. In quell’occasione, nel novembre 2017, ho suonato il concerto per piano n.2 di Rachmaninov con la Tokyo Philarmonic Orchestra diretti dal Maestro Lu Jia. Esibirmi all’interno del prestigioso di Tokyo, davanti a duemila spettatori, è stata un’esperienza bellissima.

> A questa pagina un video sul Concerto di Sergio Baietta con la Tokyo Philarmonic Orchestra

concerto-giappone-Sergio Baietta

Torniamo dall’altra parte dell’oceano e voliamo dalla musica classica al jazz. Cosa suonerete al Blue Note?

Tra le varie cose suoneremo una versione per trio della mitica Rapsodia in blue di Gershwin per clarinetto, marimba e pianoforte davvero originale e speciale, oltre a qualche brano solistico mio e altri arrangiamenti.

Sei emozionato?

Esibirsi al Blue Note, il tempio del jazz mondiale, dove tutti i più grandi Jazzisti della storia vi hanno suonato è un grande onore, e non potrò fare a meno di pensare che su quel palco si sono cimentati Petrucciani, Keith Jarret, Oscar Peterson, Chick Corea solo per citarne alcuni.
Tra l’altro il pubblico è molto vicino al palco e questo rende il concerto magico e intimo.

Sarà una esperienza davvero stimolante ed istruttiva per me, imparerò tantissimo divertendomi! Il fatto poi di non essere un jazzista puro e di trovarmi lì mi fa sorridere.

Grazie Sergio e in bocca al lupo!

Siete tutti invitati al Blue Note!

 

Sergio Baietta, pianista e direttore principale dell’Orchestra Machiavelli, è solo uno dei tanti artisti e professionisti veronesi e non solo che collaborano con Fucina Culturale Machiavelli.
Abbiamo deciso che vale la pena raccontarvi tutte le loro storie!

#ARTISTIINFUCINA

Alessandro Bombieri stampatore

Alessandro Bombieri, stampatore

By artisti in fucina, Stagione 17.18, TeatroNo Comments

Questo aprile abbiamo incontrato una persona appassionata e gentile, che ha imparato un mestiere di una volta e ne ha fatto la sua professione (ma potremmo dire anche la sua impresa).

Alessandro Bombieri fa lo stampatore e ha già collaborato a due bellissimi progetti di Fucina: la stampa in edizione limitata “Art Begins at the end of your comfort zone” data in regalo a chi aderisce alla Membership di Fucina e la partecipazione all’interno dello spettacolo di Teatro Clandestino, nel quale Alessandro ha performato la figura di Hendrik Nicolaas Werkman, artista che gestiva una tipografia clandestina ai tempi dell’occupazione nazista dei Paesi Bassi (e che proprio Alessandro ci ha fatto scoprire). 

Alessandro, da quanto fai questo lavoro?

Proprio in questo periodo sono tre anni. Il mio percorso formativo, in realtà, è un’involuzione. Ho frequentato l’istituto tecnico “G.Marconi” diventando quindi un perito informatico. Stufo dell’inarrestabile sviluppo tecnologico ho deciso di cambiare percorso.
Frequento lo Iusve, precisamente la facoltà di “Scienze e tecniche della comunicazione grafica e multimediale”. Arrivato al secondo anno mi sono trovato davanti alla scelta del tirocinio e, per pura casualità, sono entrato in contatto con Lino’s & Co. nel quale comincio un periodo di apprendimento. Finalmente posso mettere in pratica tutto ciò che ho appreso e inizio a sporcarmi le mani. Da quel momento è nato un percorso irreversibile.

Alessandro Bombieri stampatore

Hai avuto un maestro?

La persona a cui devo tutto ciò che so è Lino Merci, uno stampatore in pensione di Cerro (in montagna, dove sono cresciuto) che fin da subito si è mostrato un maestro eccezionale, non solo come figura d’apprendimento ma come persona.

E adesso di cosa ti occupi?

Da poco più di un anno gestisco il laboratorio di tipografia e legatoria di Lino’s & Co. situato negli spazi della Coop. San Giovanni Calabria in via Gardesane 212, loc. Bassona.
La collaborazione con la Cooperativa è importante perché grazie assieme riusciamo a fare attività di pre-lavoro ed inserimento al lavoro di personae socialmente e fisicamente svantaggiate. I lavori che si affrontano ogni giorno sono i più svariati: dai biglietti da visita alle partecipazioni di matrimonio, dai biglietti per il negozio di Vicoletto Valle 9b ai manifesti come quello stampato per la Membership di Fucina.

Guardate che meraviglia!

una stampa fatta da Alessandro Bombieri per Fucina Culturale Machiavelli
Omaggio lasciato da Fucina agli spettatori del Teatro Clandestino

Altre collaborazioni importanti?

Da poco è si è consolidata la collaborazione con l’Università di Verona con la quale, da quest’anno, assisto il maestro Lucio Passerini in un corso sulla stampa tipografica volta alla creazione di un libro composto da poche pagine (l’ultimo consisteva in una raccolta di poesie sulla Grande Guerra in 4 lingue diverse riprendendo autori tra cui Guillaume Apollinaire, John McCrae, Hugo Ball) per la Facoltà di Lingue e Cultura per l’Editoria e, a breve, cominceremo a stampare i diplomi di laurea composti a mano con il carattere Dante disegnato da Giovanni Mardersteig stampati a torchio a leva Albion della fine dell’800.

Alessandro è solo uno dei tanti artisti e professionisti che collaborano con Fucina Culturale Machiavelli.
Abbiamo deciso che vale la pena raccontarvi tutte le loro storie!

#artistiinfucina

teatro clandestino verona

Il Teatro Clandestino svelato

By TuttiNo Comments

Teatro Clandestino: ora che non è più un segreto condividiamo con voi le storie, i protagonisti, e alcuni link utili (tra cui un reportage di Giorgio Fornoni)

Ora lo possiamo dire. Lo spettacolo di Teatro Clandestino della stagione 2017-2018, uno spettacolo teatrale in un luogo segreto a Verona, era una produzione originale della compagnia di teatro di Fucina Culturale Machiavelli. Scena Machiavelli ha fatto vivere, su drammaturgia e regia di Sara Meneghetti, tre storie vere e recenti, anzi quattro, di giornalisti o attivisti per i diritti umani morti per le storie scomode che hanno scelto di indagare, raccontare, mettere su un palcoscenico.

Gli attori della compagnia teatrale residente di Fucina, Scena Machiavelli

Anna Benico ha dato voce alla fotoreporter iraniana-canadese Zahra detta “Ziba” Kazemi-Ahmadabadi; Sabrina Carletti ha interpretato Natal’ja Estemirova, amica intima e collaboratrice di Anna Politkovskaya, che come lei è stata uccisa forse proprio dallo stesso mandante; Stefano Zanelli ha portato in scena Juliano Mer-Khamis, attore e formatore teatrale, nonché film-maker che ha dedicato la propria vita, fino all’ultimo, ai bambini del campo profughi di Jenin.
Queste tre persone sono state uccise a causa del proprio lavoro negli ultimi quindici anni, e per nessuno di loro sono stati individuati i colpevoli.

teatro clandestino verona

Andare a teatro può essere una piccola avventura

Gli affezionati di Fucina già lo sanno. Non è la prima volta che vi proponiamo uno spettacolo fuori dalle pareti della nostra casa, il Teatro ex Centro Mazziano di Verona. Già nel 2016 una delle nostre produzioni più apprezzate dai veronesi, lo spettacolo al buio Cecità, ha ricreato la storia del romanzo di Saramago, che gli spettatori hanno vissuto bendati, nello spazio suggestivo di Forte Sofia, un forte austriaco sulle colline della città.

Entrare in un altro mondo

Il Teatro Clandestino va anche oltre. Agli spettatori non è stato rivelato nulla, né il luogo dello spettacolo né il contenuto, fino alla mattina stessa del 21 aprile 2018. L’evento, che ha registrato il sold out spingendoci a programmare una replica speciale aggiuntiva, è iniziato quando gli spettatori hanno ricevuto un sms che spiegava loro di farsi trovare all’ora convenuta “tra le nuvole”, di cercare una ragazza con in mano un fiore rosse e di portare con sé una parola chiave. Niente di facile quindi, come spesso accade negli spettacoli di Fucina, eventi in cui gli spettatori hanno imparato ad aspettarsi di tutto, ma soprattutto ad uscire dalla propria quotidianità per diventare loro stessi protagonisti ed essere catapultati in un altro mondo.

La tipografia clandestina di Werkman

Una volta riusciti a raggiungere il luogo dello spettacolo clandestino, hanno scoperto che questo era il co-working Lino’s Type in centro storico. Si sono ritrovati in uno spazio singolare, in penombra, protetto da saracinesche abbassate dove si intravedevano fotografie, stampe, macchinari d’altri tempi. Qui, è stato spiegato loro che grazie alla loro presenza clandestina, avrebbero potuto assistere ad un evento spazio-temporale unico, l’evocazione della tipografia di Hendrik Nicolaas Werkman, impegnato in pubblicazioni clandestine nella città di Groningen, durante il regime nazista. Qui, hanno potuto vedere all’opera il simpatico fantasma di Werkman, il giovane Alessandro Bombieri, che proprio a Lino’s Type ha imparato e trasformato nella sua professione le antiche tecniche di stampa tipografica.

> Leggi l’intervista ad Alessandro Bombieri, stampatore

Una foto per non diventare invisibili

Dopodiché, spostandosi tra gli spazi inusuali del co-working hanno ascoltato la storia di Ziba (Anna Benico), la fotoreporter arrestata a causa delle foto che stava scattando fuori dalla prigione di Evin, alle porte di Teheran. Ziba era rientrata nella propria patria, l’Iran, dopo una vita passata tra il Canada, dove aveva ricevuto la doppia cittadinanza, e il resto del mondo, per fare il proprio lavoro: fotografare i deboli, gli oppressi, le vittime di ingiustizia.

“Per questo ho scelto la fotografia. Una volta impressa sulla pellicola, la luce riflessa sulla persona passata in quel momento davanti all’obiettivo, la sua sagoma, la sua realtà diventa irrinnegabile”.
da La Verità non si uccide, di Sara Meneghetti

> Qui il sito della fondazione dedicata a Zahra Kazemi, dove è possibile vedere alcune delle fotografie da lei scattate

Zahra Ziba Kazemi
Anna Benico di Scena Machiavelli - Teatro Clandestino

Il teatro della libertà

Gli spettatori si sono poi spostati, in soli pochi passi, nel centro di Jenin, uno dei più grandi campi profughi della Palestina. Qui Juliano Mer-Khamis (Stefano Zanelli) ha spiegato come, seguendo le orme di sua madre, ha deciso di fondare un teatro per aiutare i ragazzi e i bambini a trovare un linguaggio alternativo alla violenza della lotta jihadista per portare all’attenzione del mondo e del proprio popolo la loro istanza di libertà. La cosa che ci ha subito attratto di questo attore e regista è il suo credere nell’arte come modello di cambiamento sociale.
Juliano, che si definiva al 100% palestinese e al 100% ebreo, essendo nato da genitori di nazionalità diverse ma uguale visione, è stato ucciso pochissimi anni fa da un uomo con il volto coperto. Gli spettatori del teatro clandestino sono stati suoi allievi per un po’, parte di quel Freedom Theatre che ancora oggi vive, e fa del teatro la propria strada per la formazione, la consapevolezza, l’auto affermazione.

“Tutti gli animali sono uguali. Ma alcuni sono più uguali degli altri”
George Orwell, La fattoria degli animali (una delle ultime opere teatrali messe in scena da Juliano con i propri allevi)

> Qui il sito del Freedom Theatre di Jenin
> Qui un bel ritratto di Juliano Mer-Khamis scritto da Edoardo Crisafulli

La verità non si uccide

La terza storia del Teatro Clandestino è quella di Natalja Estemirova, attivista cecena che aveva lasciato il proprio lavoro come insegnante per raccontare gli abusi dell’esercito russo e dei guerriglieri ceceni sulla popolazione civile durante e dopo le due guerre cecene.
Natal’ja era amica e collega di Anna Politkovskaya, con cui ha collaborato su molti casi di rapimenti e omicidi altrimenti passati sotto silenzio. Natalja è stata uccisa tre anni dopo Anna, probabilmente dagli stessi mandanti. Nessuna di loro ha ancora ottenuto giustizia per il proprio assassinio.

> Qui il sito Committee to Protect Journalists un osservatorio che documenta dal 1992 i giornalisti uccisi in tutto il mondo

“La verità non si uccide”
Natalja Estemirova

Natalja Estemirova
Sabrina Carletti attrice di Scena Machiavelli - Teatro Clandestino

L’idea di La verità non si uccide, frase pronunciata da Natalja mentre era ancora in vita, è nata anche grazie ad un incontro con un reporter indipendente che, come i suoi colleghi protagonisti di questo spettacolo, non ha paura di raccontare storie scomode o pericolose. Giorgio Fornoni, che non ha potuto essere presente la sera dello spettacolo, ci ha concesso di proiettare uno dei suoi reportage all’interno del quale sarà possibile ascoltare in prima persona le voci di Anna Politkovskaya e Natalja Estemirova, da lui stesso intervistate.

> Qui il reportage “Giornalisti russi di prima linea” sul sito di Giorgio Fornoni

I personaggi a cui il Teatro Clandestino ha dato voce non sono eroi, non hanno colonizzato le prime pagine dei giornali, hanno semplicemente fatto ognuno il proprio mestiere, senza enfasi, né sentendo il bisogno di fare self branding.

Sono morti per la verità, ma il loro lavoro, tenace e silenzioso, è sopravvissuto.

daniele lasta

Il pianista Daniele Lasta, dalla break dance alla musica romantica.

By Tutti2 Comments

Daniele Lasta, classe 1999, ha uno sguardo intelligente e una riservatezza elegante che è qualcosa di più che modestia. Diciamo che è proprio una fatica fargli spiegare (per i non addetti ai lavori) che è stato appena ammesso in un’importante accademia, l’Accademia Pianistica Internazionale di Imola, senza avere preso prima un Diploma in Conservatorio, eccezione che le Accademie fanno per pochi talenti.

Come hai iniziato a suonare?

Io facevo break dance, ascoltavo musica pop, autori americani come Eminem. Poi mio padre mi ha regalato una tastiera e suonando, all’inizio da solo, ho scoperto la musica classica.

E ora cosa ascolti?

La musica contemporanea mi piace perché è fresca e sincera. Ma ascoltando musica classica si percepisce questo grande messaggio, che non dipende dall’epoca in cui è stata scritta.

Quale musica preferisci?

Ho un debole per i romantici, ma anche nel novecento sono state scritte moltissime cose interessanti, nel ‘900 la musica esplode in un caleidoscopio di punti di vista.

I tuoi coetanei ti contestano mai che la musica che ascolti sia complessa?

La musica classica è più complessa della musica moderna. E’ più ricercata, c’è una raffinatezza nel linguaggio, e il fine è diverso.

In che senso?

La musica moderna è da fast food, se ne sfornano tantissime, più mirate al commercio, e porta messaggi più freschi, legati a momenti emotivi. Mentre nella musica classica, o nella musica romantica, si cerca di entrare nell’animo umano, è molto più profonda. Questi sono autori che non passeranno mai di moda. Se la gente li amava nel 1800 li amerà anche nel 2050.

Una cosa che ho sempre ammirato nei pianisti è che mi sembra debbano avere due cervelli. C’è qualcosa di  vero?

E’ un po’ vero, se devi controllare quello che hai sotto le dita, che già è molto, è vero anche che bisogna controllare tantissime altre cose. C’è un lavoro di immaginazione da fare, che è molto di più di quello che si ha sotto le mani.

Avendo iniziato da autodidatta, com’è stato il tuo approccio alla partitura?

Ci vuole anche la tecnica. Sembra strano ma è da considerare come un lavoro vero e proprio. Se un operaio fa otto ore al giorno un pianista dovrebbe riuscire a farne otto. Io considerando la scuola riesco a suonare cinque ore al giorno.

E la vita sociale?

Se si ha spinta vitale si riesce a fare un po’ tutto.

La tua prima esperienza con un’orchestra è stata con l’Orchestra Machiavelli. Com’è andata?

E’ andato tutto molto bene, è stato molto bello, nonostante avessi avuto un imprevisto, una tendinite.

E come hai fatto?

Ho studiato a mente per un mese, e poi le ultime due settimane ho rimesso le mani sul pianoforte.

Adesso quali sono le tue prossime tappe?

Voglio lasciare spazio al mio repertorio, cerco di ampliarlo, studio più che posso. Quindi per il momento non sto partecipando a molti concorsi, per quelli devi essere bello impacchettato. Probabilmente dall’anno prossimo.

Sabato prossimo in Hey, Mrs. Stein, suonerai con il quintetto di fiati dell’Orchestra Machiavelli. Cosa suonerai?

Suonerò dei brani di Chopin, di Satie, e un sestetto di Poulenc. Non mi è mai successo di suonare in sestetto con dei fiati, dei fiati così bravi tra l’altro. La cosa interessante per il pubblico sarà vedere come da Chopin si può arrivare ai compositori di inizio novecento. Dentro queste musiche c’è un fermento di idee nuove legate alla Parigi di quegli anni.

Speriamo di rendere quel fermento.

 

Emanuele Aldrovandi drammaturgo

Emanuele Aldrovandi, vita di un drammaturgo nel ventunesimo secolo.

By nuova drammaturgia, Stagione 17.18, TeatroNo Comments

Due chiacchiere con Emanuele Aldrovandi, da drammaturgo a drammaturga.

Lo becchiamo al telefono, tra una galleria e l’altra, mentre è sul treno da Reggio Emilia per Pesaro, e iniziamo subito a farci gli affari suoi. Perché Pesaro?

Sto andando ad un primo incontro per fare una drammaturgia per un museo, sarà una cosa che non si vedrà in scena, un lavoro particolare.

Cosa stai facendo in questo periodo?

Ho appena fatto a Milano Isabel Green, un monologo scritto per Serena Sinigaglia con l’attrice Maria Pilar Pérez Aspa che è stato in scena all’Elfo, ha fatto il tutto esaurito e stanno pensando di replicarlo.

Poi alcuni dei miei testi stanno ancora girando l’Italia. Homicide House sarà a giugno al Franco Parenti, quindi torna a Milano. Un’altra soddisfazione è che Allarmi, un testo fatto due anni fa per Ert messo in scena a Modena e Bologna ora sarà tradotto in diverse lingue, in Spagna, a Tolosa, e nella prossima stagione in Polonia e Slovenia. E’ bello il fatto che viva anche fuori dall’Italia. Forse la tematica, dato che il testo parla dei neo fascismi, è particolarmente attuale oggi in Europa.

Tra gli altri progetti ultimamente ho scritto e diretto un cortometraggio, ora stiamo finendo il montaggio e tra poco sarà pronto e ho in progetto di farne altri. Ma i progetti in cantiere sono ancora tanti.

Sembrerebbe quindi che tu riesca a vivere del tuo lavoro di drammaturgo.

Sì, assolutamente, poi ho anche iniziato a insegnare in Paolo Grassi. Insegno al primo anno, mi sento molto responsabilizzato. Ma oltre al peso della responsabilità c’è anche la soddisfazione personale. Lo so che è incredibile ma riesco a vivere di tutto questo, facendo tante cose, testi ma anche traduzioni, ad esempio ho appena tradotto Trainspotting e Tamburi nella notte di Brecht per l’Elfo.

Raccontaci il tuo percorso, come sei arrivato alla scrittura teatrale?

Ho sempre scritto, anche prima, durante l’Università, racconti romanzi, poi ho fatto un corso di teatro con MaMiMò (compagnia che gestisce il Piccolo Teatro Orologio di Reggio Emilia ndr) e ho visto che questo linguaggio mi piaceva. Ho iniziato a farlo con degli amici, in modo amatoriale ma con tanto divertimento. Quindi già durante l’ultimo anno di università mi sono iscritto all’Accademia (la Scuola Civica di Teatro Paolo Grassi). Dal terzo anno di accademia ho iniziato a lavorare con Mamimò, poi ho vinto qualche premio (Giusto qualcuno: in pochi anni Emanuele ha vinto tutti i più prestigiosi premi di drammaturgia in Italia, dal “Premio Pirandello”, al “Premio Hystrio”, al “Premio Riccione Pier Vittorio Tondelli”), e questo ha aiutato a farmi conoscere e a lavorare anche con altre persone.

In sostanza sono dieci anni che non faccio altro. Prima da studente e poi da lavoratore precario.

Questo è bello, significa che c’è richiesta, c’è pubblico che ha voglia di teatro.

Sì, ma non è così semplice. C’è pubblico giovane che ha voglia di cose nuove che raccontino la contemporaneità, come linguaggio, come visione del mondo. Però ci sono ancora dei problemi. Un po’ il teatro sta andando incontro a questa esigenza del pubblico di avere nuove storie, ma ci sono anche tante sacche di staticità che allontanano gli spettatori. Nelle grandi città come Milano, Roma, Firenze c’è attenzione alla proposta culturale. Ma ci sono tante città di provincia dove si fanno solo classici rivisitati o star della televisione, e questo è un problema perché non educa il pubblico.

Bisognerebbe arrivare ad avere autori nuovi anche nelle stagioni di provincia con gli abbonati. Io credo che anche loro si divertirebbero, ma c’è il timore da parte di chi programma che la serata rimanga vuota. Appena ti sposti nelle città di provincia ci sono luoghi inarrivabili per le giovani compagnie.

A Milano, in teatri come l’Elfo Puccini o il Piccolo al Parenti, fanno qualche classico ma anche cose contemporanee. E il pubblico apprezza.

Con MaMiMò è da vari anni che lavorate sul territorio in questa direzione.

Io non partecipo direttamente a creare la stagione teatrale, ma la compagnia sta facendo un lavoro fantastico, la stagione di quest’anno è bellissima e il teatro è sempre pieno, qualcuno resta anche in piedi o rimane fuori. E’ un’isola felice.

E’ giusto lavorare sul territorio a livello di progettazione. Poi, per quanto riguarda le produzioni è bello che gli spettacoli vengano visti da più gente possibile. Io spero sempre che i miei testi raggiungano il maggior numero di persone possibili. I nostri coetanei inglesi e francesi ci sono. Perché noi no? Solo perché siamo in paese culturalmente arretrato?

homicide house

Foto da Homicide House, in scena in Fucina il 10 febbraio 2018.

 

Quali sono i temi che ti interessa di più raccontare?

Nei miei testi non c‘è un filo conduttore, vorrei sempre toccare temi diversi. Il filo conduttore piuttosto è lo sguardo. E anche questo vorrei cambiare, o forse cambia inevitabilmente. Mentre cambia l’autore cambia il modo in cui guarda le cose. Sto scrivendo un sacco di cose di cui non saprei dire qual è il tema. Lo sguardo che se fossi io spettatore mi farebbe riflettere sulla nostra realtà, parlare dell’uomo l’ha già fatto Shakespeare, ogni epoca però ha il proprio linguaggio.

Quindi non lo so, adesso vorrei fare una cosa sull’ambiente. Mi piacerebbe cambiare linguaggio e codice, ad esempio toccando il cinema, lì facendo anche il regista mi devo porre anche una serie di problemi, di interrogativi e di stimoli diversi.

Vorresti dire qualcosa a chi verrà a vedere Homicide House?

E’ stato un progetto molto felice. Non so se è una parabola o una dark comedy, io cerco di non definirla. Mi interessava chiedermi quali sono i valori della nostra epoca o quali non sono, ma farlo anche in maniera divertente e inaspettata.

Riccardo Pippa, regista veronese e il teatro dei gordi

La parola al regista veronese. Riccardo Pippa, le maschere e la nuova drammaturgia.

By TuttiNo Comments

 

La rassegna di teatro 2017-1018 #PaesaggiUmani in Fucina Culturale Machiavelli prosegue e, dopo il debutto con la produzione interna della compagnia Scena Machiavelli, inaugura con un regista veronese una teoria di spettacoli accomunati da un elemento di conterraneità. Diverse saranno le compagnie teatrali veronesi in cartellone, accanto a spettacoli di compagnie provenienti da tutta Italia, ma con un artista di Verona, spesso trapiantato altrove durante o dopo gli studi.

 

E’ il caso di Riccardo Pippa, regista veronese e coautore di Generazione Disagio, collettivo di artisti presente per il secondo anno a fila in Fucina. Riccardo è autore e regista, laureato al Dams di Bologna e diplomato in regia alla Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi di Milano, come assistente alla regia ha collaborato con Gabriele Vacis, Cesare Lievi, Renato Sarti, Ferdinando Bruni e Elio De Capitani.
Questo gennaio torna a Verona, in Fucina Culturale Machiavelli con la sua compagnia, il collettivo Generazione Disagio. Dopo il sold out del 2017, ripropongono Dopodiché stasera mi butto e il suo ideale sequel, Karmafulminien.  Noi di Fucina incontriamo Riccardo per farci raccontare qualcosa della sua vita teatrale.

Riccardo tu adesso vivi a Milano, di cosa ti stai occupando in questo periodo?

Ho appena concluso un lavoro su un monologo comico con Rita Pelusi. A Milano collaboro con diverse compagnie, in particolare Generazione Disagio e il Teatro dei Gordi, mentre a Verona lavoro come insegnante di teatro (Riccardo insegna presso la scuola Granbadò, diretta da Alberto Bronzato ndr). ma al momento non ho collaborazioni artistiche. In generale, i progetti che mi stanno a cuore adesso sono le produzioni indipendenti.

Diamoci un lessico comune, cosa intendi per produzioni di teatro indipendenti?

Sono solitamente progetti senza alcun tipo di commissione esterna, in cui scelgo io il gruppo di lavoro e quello su cui mi piace lavorare. Hai la libertà di non seguire le scadenze, le ricorrenze varie. L’insegnamento mi fa stare tranquillo, così artisticamente sono più libero. Quello che ora mi interessa di più è lavorare su nuove drammaturgie, anche se non escludo di trovare dei testi che possano accendermi.

Che progetti hai per il prossimo futuro?

Con il Teatro dei Gordi la nostra ultima produzione era un lavoro di teatro di figura sulla maschera, e ci piacerebbe lavorare in continuità con l’anno scorso. Useremo sempre le maschere ma, a differenza di Sulla Morte senza esagerare, non escludo anche l’uso di parole. In quello spettacolo il momento della morte, del trapasso, i personaggi si toglievano la maschera, quasi a svelare l’anima, mentre mi piacerebbe ora provare ad accostare la presenza di personaggi in maschera e senza maschera all’interno dello stesso spettacolo. Il linguaggio ci interessa molto perché, nonostante qui sia legato ancora troppo spesso al teatro ragazzi (anche se la cosa si sta evolvendo), ha un respiro internazionale.

Siete già riusciti a distribuirlo fuori dall’Italia?

Non ancora, siamo stati a Lugano, ma la considero un’estensione dell’Italia. Non è semplice, ci vuole tempo per costruire dei contatti. Per la prossima produzione saremo coprodotti dal Teatro Franco Parenti di Milano, e forse la loro capacità distributiva si sommerà alla nostra.

Domanda che poniamo a tutti gli artisti ospiti nel nostro blog: qual è nella tua carriera il rischio più grande che hai corso?

(Riccardo esita, è una domanda difficile, ndr). Potrei rispondere in modo troppo facile che ogni spettacolo è una sfida. Ma vado con il lavoro con Matteo Spiazzi (attore veronese, ndr) quando siamo stati al Teatro Nazionale Gorkij di Minsk a lavorare con attori bielorussi su uno spettacolo di commedia dell’arte. Matteo faceva improvvisare gli attori con un metodo che loro non conoscevano, e a cui non erano abituati, il rischio era grande perché non c’era certezza di arrivare a un risultato, e per rassicurare gli organizzatori ho dovuto millantare una sicurezza che non avevo. Poi, nel giro di 10 giorni ho dovuto scrivere e chiudere un testo con 8 personaggi, e questa urgenza ha prodotto uno spettacolo efficace.
Negli ultimi anni mi è capitato spesso di caricarmi sia la responsabilità drammaturgica che quella registica e, quando fai un’operazione del genere, stai scommettendo molto. E’ un brivido ogni volta ma per me fa parte del lavoro, ho bisogno di mettermi in una condizione difficile per creare. Non succede mai in modo sereno. La bellezza la apprezzo più nel ricordo che nel momento presente.
riccardo pippa e generazione disagio
ex centro mazziano

La memoria del Centro Mazziano di Verona

By Tutti2 Comments

La storia dell’ex Centro Mazziano

Quando nel 2015 noi di Fucina Culturale Machiavelli abbiamo ristrutturato e ricevuto in eredità le pareti di questo luogo, il cinema Centro Mazziano di Verona, avevamo capito che queste pareti, pur abbandonate da anni, avevano una storia lunga e intensa, fatta di arte e di confronto politico e sociale. Essendo troppo giovani, non sapevamo però nulla di quella storia, e abbiamo deciso di prenderci del tempo per conoscerla e, almeno per sommi capi, raccontarla anche a voi. Abbiamo quindi avuto il piacere di fare una chiacchierata con don Domenico Romani, sacerdote, fondatore del Centro Mazziano.

Poltrone di legno e film introvabili

Il Centro Mazziano inizia a diminuire la sua attività circa 15 anni fa, per insufficienza di fondi, perché i costi della distribuzione cinematografica si fanno sempre più esosi, e perché con la mancanza di alcune persone chiave e del servizio degli obiettori di coscienza ha dato un colpo alla macchina organizzativa dal quale è stato difficile riprendersi.
Tante persone ricordano questo luogo con le sue poltrone di legno per le proiezioni altrimenti introvabili di film d’essai, di interminabili, interessanti e talvolta accesi dibattiti che però non travalicavano mai i toni di un confronto civile e rispettoso.

Ed è proprio di questo che ci parla don Domenico, prima ancora che dei film e delle proiezioni, di una tavola, dove discutere e confrontarsi, con il sacrosanto diritto di essere ascoltati.

Un luogo di cultura nella Verona degli anni ’70

Il Centro Mazziano nasce nel 1974, da un’iniziativa presa nel 1969 dalla Pia Società di Don Mazza, che, coinvolta nel delicatissimo compito dell’educazione scolastica, si è trovata a doversi confrontare con un mondo che dopo il concilio Vaticano II e il 1968 non era più lo stesso, ne’ sul piano civile, ne’ sul piano religioso. Erano gli anni dei preti operai, dell’eterna contrapposizione tra PCI e DC, gli anni che hanno preceduto le ore buie degli attentati politici e della lotta armata di BR e NAR. L’istituzione educatrice di matrice religiosa ha dovuto perciò adattare metodi e presupposti del suo sistema a questo nuovo mondo e questo nuovo fermento, e l’ha fatto coinvolgendo i principali attori dell’epoca: le associazioni e soprattutto i sindacati. Erano coinvolti CGIL, CISL, FEDERLIBRI, gli Scout, il Cuam (centro per l’america latina missionaria, oggi CUM), e tutti quei cittadini che, pur non appartendo ad un’organizzazione avevano desiderio di partecipare alla discussione.

Una continua tavola rotonda, alimentata dai film d’essai

Corsi e tavole rotonde avevano come focus gli argomenti più disparati (economia, teologia, ecologia, arte), ma sempre con un grande senso civico di responsabilità e confronto, e non sottostando mai ad indottrinamenti, cercando sempre un confronto costruttivo per tutti. Il Centro Mazziano di Verona era un’organizzazione democratica formata da laici, il suo direttivo veniva eletto da tutti i soci ogni 2 anni. Il cinema, nella forma di cineforum, è stato concepito da subito come una forma di diffusione culturale per la città, con la proiezione di film d’essai commentati da professori universitari, ma anche come forma di autofinanziamento per tutta l’attività sociale e formativa che il centro proponeva ai cittadini.

Il teatro, costruito nel 1965, è diventato sede della rassegna del 1974, ha chiuso definitivamente per ristrutturazione nel 2011 e dal 2015 è stato riaperto per dare voce ad una generazione di artisti e cittadini, quella tra i 20 e i 40 anni, che altrimenti difficilmente avrebbe avuto voce.

Un posto dove poter parlare ed essere ascoltati

Era un luogo dove si poteva parlare liberamente, sapendo di essere presi in considerazione e ascoltati, un luogo di crescita per tutti. Sapendo che i presupposti e i linguaggi sono cambiati, ci piace pensare che questa eredità continui tra queste pareti, che questo luogo, deputato da subito alla crescita della cittadinanza, continui oggi il suo compito.

Oggi, dopo due anni di attività come teatro e sala da concerti, lo spazio del vecchio Centro Mazziano di Verona torna a ospitare gli amanti del cinema, con la nuova rassegna #Paesaggivisivi – Operaforte alla Fucina, nata grazie alla collaborazione di Ippogrifo Produzioni, già organizzatore della rassegna estiva Operaforte al forte S. Caterina di Verona.

cinema ex centro mazziano

La sala proiezioni del cinema ex Centro Mazziano di Verona.

Andrea Cimitan aka NME

Dalla strada all’incontro con un’orchestra, NME ci racconta come è diventato beatboxer

By Musica, Stagione 17.18No Comments

Il concerto d’inaugurazione della terza stagione di musica di Fucina Culturale Machiavelli, #PaesaggiSonori, si intitola Suburbia Symphony e ha come filo conduttore la strada. Tra i brani eseguiti il prossimo 18 novembre, insieme a Boccherini, Barber e Copland, ci sarà il Concerto per Beatbox, Lukasz e Orchestra, scritto per l’occasione da Stefano Soardo.
NME ci racconta come è diventato beatboxer e perché.

Conosciamo meglio uno dei nostri solisti.

Si chiama Andrea Cimitan, aka NME, è nato a Treviso ed è giovanissimo. A soli 19 anni ha già vinto il suo primo contest europeo, in Polonia, nella categoria Loopstation. A novembre sarà protagonista di un concerto che lo vede esibirsi con un’orchestra d’archi, l’Orchestra Machiavelli, in un concerto scritto apposta per lui da Stefano Soardo, all’inaugurazione della terza stagione di musica e teatro di Fucina Culturale Machiavelli, a Verona.

Andrea, raccontaci come ha iniziato a fare beatbox.

Ho cominciato circa 8 anni fa. Ero nel mio periodo Michael Jackson, ho visto il video di questo beatboxer che faceva Billie Jean e sono impazzito: come cavolo si fa? Devo imparare. Poi ho scoperto che anche Michael Jackson era beatboxer, si era creato un suo stile.

Così ho iniziato a riprodurre i primi suoni di batteria: grancassa, rullante, piatti. Ma non ho approfondito la cosa fino a qualche anno dopo, quando ho iniziato a scoprire che questa è una vera e propria arte, attorno alla quale esiste anche una community. E ho iniziato sul serio.

Insieme ad altri ragazzi di Treviso abbiamo creato un gruppo, ci chiamavamo i BEATUBER. Insieme abbiamo fatto i primi eventi e contest in giro.

In giro dove?

All’inizio feste studentesche, qualche locale, poi abbiamo organizzato anche eventi insieme a Broke e a Puppet family (scuola di ballo ndr). Poi il gruppo si è sciolto e sono entrato in gioco con Italian Beatbox Family. Sono entrato inizialmente come membro e poi anche nel direttivo, e ho conosciuto beatboxer da tutta la penisola. Nei primi contest ho iniziato a farmi un buon nome e quest’estate sono stato in Polonia, al World Beatbox Camp  festival alla sua prima edizione. L’evento propone diverse competizioni aperte al pubblico, con beatboxer da tutto il mondo, compresi quelli di fama internazionale.

Qui sono riuscito a passare le selezioni in tutte le categorie, sono arrivato in finale su due categorie e ho vinto la categoria LOOPSTATION. E’ stato un bel traguardo perché era la prima volta che un beatboxer italiano riusciva ad arrivare in finale e vincerla.

Quindi adesso ti stai concentrando sulla Loopstation?

È la cosa su cui lavoro di più ultimamente, espande la mia arte. Permette di comporre musica dal vivo sulla base della tua voce e della tua musica. Ti mette in gioco con la voce, oltre che con la percussione vocale. E richiede anche qualche competenza sull’armonia, sulla composizione. Ho appena fatto il video entry per la selezione della vera competizione internazionale di Loopstation.

 

 

Quali sono le altre categorie di beatbox?

La categoria SOLO è la categoria base: sei tu, microfono e pubblico, in contest con un altro beatboxer, votati da una giuria composta da campioni. Poi ci sono le categorie TAGTEAM, in coppia, e TEAM, dai 3 ai 5 elementi.

Immagino sia importante essere molto affiatati.

Certo, ma in più per le battle solitamente ci si prepara lo show da due minuti, durata del round. L’affiatamento è fondamentale, ma anche la preparazione conta.

Cos’è la cosa che più ti attira del beatbox?

Il beatbox è un’unione tra la musica e le lingue. Mio papà mi ha fatto ascoltare tanta musica (classica, jazz, ma anche Branduardi, Battisti) e ascoltare tante lingue diverse. Capitava che chiedesse a qualche suo amico straniero di stare con me e parlarmi nella sua lingua. Ho sempre avuto facilità nell’apprendere le lingue e ho sempre avuto un ottimo orecchio musicale. Il beatbox è una fusione di entrambe le cose. E’ una forma di espressione che prevede un movimento come se stessi parlando. Stanno facendo studi ad Harvard a questo proposito: i metodi di apprendimento che si innescano e gli automatismi che si mettono in atto nell’esecuzione (non sto a pensare come muovo la bocca o come dico la erre) sono gli stessi nel bambino che impara una lingua. E’ tutta questione di entrare nel flow, come quando parlo non mi concentro sulla pronuncia delle parole ma sto nel discorso, nel senso del discorso, così quando faccio beatbox non sto a concentrarmi sula parte esecutiva ma entro nel flow, che mi viene naturale.

La scelta del beatbox all’interno di questo concerto nasce dal legame di quest’arte con la strada. Anche per te c’è stato questo legame?

Sì, le prime esibizioni, le prime volte in cui ho dimostrato che sapevo fare beatbox, sono state le situazioni insieme agli MC’S, i rapper freestyle che facevano contest per le strade e avevano bisogno di qualcuno che gli facesse da base musicale. Questa è una cosa importante perché oggi a volte i ragazzi iniziano direttamente dai video di youtube, che però rischiano di limitarti per quanto riguarda la potenza del suono. Se inizi dall’accompagnamento invece ti concentri sulla potenza, acquisti controllo sul respiro.

Il 18 dicembre farai beatbox insieme a un’orchestra classica, l’Orchestra Machiavelli. Cosa ti aspetti da Suburbia Symphony?

Mi aspetto una gran figata. Non mi sono mai messo seriamente a studiare musica quindi all’inizio non è stato semplice, non ho mai visto il mio beatbox scritto su un pentagramma, ma credo sarà molto interessante, anche perché è una sperimentazione fatta pochissime volte, e mai qui in Italia. Spero anche il pubblico resti affascinato.

Ultima domanda, che facciamo a tutti gli artisti: qual è stato il rischio più grande che hai corso?

E’ stato durante la finale di questo contest in Polonia: ho rappato in Italiano. Tutta la costruzione con la loopstation era venuta molto bene e piaceva, ma rappare in italiano era un azzardo. Appena ho iniziato hanno cominciato tutti a impazzire, a fare pogo assurdo, di quello  spacca caviglie strappa magliette, anche se non capivano niente il flow era giusto. Era l’ultimo round dell’ultima battle.

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Suburbia Symphony

 

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Nell’estate 2017 di Verona torna Cecità spettacolo al buio.

By estate2017, Teatro
Quest’estate torna a gran richiesta lo spettacolo teatrale che vi ha fatto emozionare con gli occhi chiusi! Dopo il successo del suo debutto ci è sembrato giusto riproporre a Verona per l’estate 2017 lo spettacolo di teatro contemporaneo di Fucina Culturale Machiavelli!

CECITA’
uno spettacolo al buio

di Fucina Culturale Machiavelli
liberamente ispirato al romanzo di J. Saramago
1-2 luglio
Forte Sofia
repliche alle ore 18, 19, 21, 22
posti limititati, necessaria la prenotazione
 
Cecità
di Sara Meneghetti
regia Alice Grati
musiche originali Stefano Soardo
scene Marilena Fiori
con Anna Benico. Sabrina Carletti, Mirko Segalina, Stefano Zanelli
 
Cosa accadrebbe se il mondo all’improvviso diventasse cieco?
Da questa domanda parte José Saramago, che nel suo romanzo distopico racconta un’epidemia di mal bianco e il modo in cui gli uomini e la società reagiscono. L’idea cardine dello spettacolo è di immergere fisicamente lo spettatore nella storia, facendolo diventare protagonista e costruendo quello che è un percorso di discesa e risalita, di scoperta dell’inferno e purificazione, in cui tutti i sensi sono coinvolti. Le voci degli attori guidano e accompagnano, raccontano e fanno rivivere.
Ad ogni spettatore resta il compito di completare tutto ciò che non possono vedere con l’immaginazione.
 
Le repliche permettono un numero limitato di spettatori per volta, quindi è importante prenotare: scrivici a biglietteria.fcm@gmail.com 
 
Biglietti
€ 15 intero
€ 12 ridotto under 30-over 65
 

Forte Sofia - vista dall'alto

Forte Sofia è un forte austriaco dall’architettura suggestiva che si trova sulle colline di Verona, gestito da un’associazione di giovani fortissimi e “innamorati di Verona”, come loro si definiscono, che se ne prendono cura e lo tengono aperto.

 
Per la struttura del luogo consigliamo per lo spettacolo un abbigliamento comodo e caldo, da evitare i tacchi!
Lo spettacolo si terrà anche in caso di pioggia.
Per tutte le foto e il backstage segui l’evento sulla nostra pagina Facebook.
 
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Teatro ex Centro Mazziano - Via Madonna del Terraglio 10, Verona