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Teatro

Alessandro Bombieri stampatore

Alessandro Bombieri, stampatore

By artisti in fucina, Stagione 17.18, TeatroNo Comments

Questo aprile abbiamo incontrato una persona appassionata e gentile, che ha imparato un mestiere di una volta e ne ha fatto la sua professione (ma potremmo dire anche la sua impresa).

Alessandro Bombieri fa lo stampatore e ha già collaborato a due bellissimi progetti di Fucina: la stampa in edizione limitata “Art Begins at the end of your comfort zone” data in regalo a chi aderisce alla Membership di Fucina e la partecipazione all’interno dello spettacolo di Teatro Clandestino, nel quale Alessandro ha performato la figura di Hendrik Nicolaas Werkman, artista che gestiva una tipografia clandestina ai tempi dell’occupazione nazista dei Paesi Bassi (e che proprio Alessandro ci ha fatto scoprire). 

Alessandro, da quanto fai questo lavoro?

Proprio in questo periodo sono tre anni. Il mio percorso formativo, in realtà, è un’involuzione. Ho frequentato l’istituto tecnico “G.Marconi” diventando quindi un perito informatico. Stufo dell’inarrestabile sviluppo tecnologico ho deciso di cambiare percorso.
Frequento lo Iusve, precisamente la facoltà di “Scienze e tecniche della comunicazione grafica e multimediale”. Arrivato al secondo anno mi sono trovato davanti alla scelta del tirocinio e, per pura casualità, sono entrato in contatto con Lino’s & Co. nel quale comincio un periodo di apprendimento. Finalmente posso mettere in pratica tutto ciò che ho appreso e inizio a sporcarmi le mani. Da quel momento è nato un percorso irreversibile.

Alessandro Bombieri stampatore

Hai avuto un maestro?

La persona a cui devo tutto ciò che so è Lino Merci, uno stampatore in pensione di Cerro (in montagna, dove sono cresciuto) che fin da subito si è mostrato un maestro eccezionale, non solo come figura d’apprendimento ma come persona.

E adesso di cosa ti occupi?

Da poco più di un anno gestisco il laboratorio di tipografia e legatoria di Lino’s & Co. situato negli spazi della Coop. San Giovanni Calabria in via Gardesane 212, loc. Bassona.
La collaborazione con la Cooperativa è importante perché grazie assieme riusciamo a fare attività di pre-lavoro ed inserimento al lavoro di personae socialmente e fisicamente svantaggiate. I lavori che si affrontano ogni giorno sono i più svariati: dai biglietti da visita alle partecipazioni di matrimonio, dai biglietti per il negozio di Vicoletto Valle 9b ai manifesti come quello stampato per la Membership di Fucina.

Guardate che meraviglia!

una stampa fatta da Alessandro Bombieri per Fucina Culturale Machiavelli
Omaggio lasciato da Fucina agli spettatori del Teatro Clandestino

Altre collaborazioni importanti?

Da poco è si è consolidata la collaborazione con l’Università di Verona con la quale, da quest’anno, assisto il maestro Lucio Passerini in un corso sulla stampa tipografica volta alla creazione di un libro composto da poche pagine (l’ultimo consisteva in una raccolta di poesie sulla Grande Guerra in 4 lingue diverse riprendendo autori tra cui Guillaume Apollinaire, John McCrae, Hugo Ball) per la Facoltà di Lingue e Cultura per l’Editoria e, a breve, cominceremo a stampare i diplomi di laurea composti a mano con il carattere Dante disegnato da Giovanni Mardersteig stampati a torchio a leva Albion della fine dell’800.

Alessandro è solo uno dei tanti artisti e professionisti che collaborano con Fucina Culturale Machiavelli.
Abbiamo deciso che vale la pena raccontarvi tutte le loro storie!

#artistiinfucina

Emanuele Aldrovandi drammaturgo

Emanuele Aldrovandi, vita di un drammaturgo nel ventunesimo secolo.

By nuova drammaturgia, Stagione 17.18, TeatroNo Comments

Due chiacchiere con Emanuele Aldrovandi, da drammaturgo a drammaturga.

Lo becchiamo al telefono, tra una galleria e l’altra, mentre è sul treno da Reggio Emilia per Pesaro, e iniziamo subito a farci gli affari suoi. Perché Pesaro?

Sto andando ad un primo incontro per fare una drammaturgia per un museo, sarà una cosa che non si vedrà in scena, un lavoro particolare.

Cosa stai facendo in questo periodo?

Ho appena fatto a Milano Isabel Green, un monologo scritto per Serena Sinigaglia con l’attrice Maria Pilar Pérez Aspa che è stato in scena all’Elfo, ha fatto il tutto esaurito e stanno pensando di replicarlo.

Poi alcuni dei miei testi stanno ancora girando l’Italia. Homicide House sarà a giugno al Franco Parenti, quindi torna a Milano. Un’altra soddisfazione è che Allarmi, un testo fatto due anni fa per Ert messo in scena a Modena e Bologna ora sarà tradotto in diverse lingue, in Spagna, a Tolosa, e nella prossima stagione in Polonia e Slovenia. E’ bello il fatto che viva anche fuori dall’Italia. Forse la tematica, dato che il testo parla dei neo fascismi, è particolarmente attuale oggi in Europa.

Tra gli altri progetti ultimamente ho scritto e diretto un cortometraggio, ora stiamo finendo il montaggio e tra poco sarà pronto e ho in progetto di farne altri. Ma i progetti in cantiere sono ancora tanti.

Sembrerebbe quindi che tu riesca a vivere del tuo lavoro di drammaturgo.

Sì, assolutamente, poi ho anche iniziato a insegnare in Paolo Grassi. Insegno al primo anno, mi sento molto responsabilizzato. Ma oltre al peso della responsabilità c’è anche la soddisfazione personale. Lo so che è incredibile ma riesco a vivere di tutto questo, facendo tante cose, testi ma anche traduzioni, ad esempio ho appena tradotto Trainspotting e Tamburi nella notte di Brecht per l’Elfo.

Raccontaci il tuo percorso, come sei arrivato alla scrittura teatrale?

Ho sempre scritto, anche prima, durante l’Università, racconti romanzi, poi ho fatto un corso di teatro con MaMiMò (compagnia che gestisce il Piccolo Teatro Orologio di Reggio Emilia ndr) e ho visto che questo linguaggio mi piaceva. Ho iniziato a farlo con degli amici, in modo amatoriale ma con tanto divertimento. Quindi già durante l’ultimo anno di università mi sono iscritto all’Accademia (la Scuola Civica di Teatro Paolo Grassi). Dal terzo anno di accademia ho iniziato a lavorare con Mamimò, poi ho vinto qualche premio (Giusto qualcuno: in pochi anni Emanuele ha vinto tutti i più prestigiosi premi di drammaturgia in Italia, dal “Premio Pirandello”, al “Premio Hystrio”, al “Premio Riccione Pier Vittorio Tondelli”), e questo ha aiutato a farmi conoscere e a lavorare anche con altre persone.

In sostanza sono dieci anni che non faccio altro. Prima da studente e poi da lavoratore precario.

Questo è bello, significa che c’è richiesta, c’è pubblico che ha voglia di teatro.

Sì, ma non è così semplice. C’è pubblico giovane che ha voglia di cose nuove che raccontino la contemporaneità, come linguaggio, come visione del mondo. Però ci sono ancora dei problemi. Un po’ il teatro sta andando incontro a questa esigenza del pubblico di avere nuove storie, ma ci sono anche tante sacche di staticità che allontanano gli spettatori. Nelle grandi città come Milano, Roma, Firenze c’è attenzione alla proposta culturale. Ma ci sono tante città di provincia dove si fanno solo classici rivisitati o star della televisione, e questo è un problema perché non educa il pubblico.

Bisognerebbe arrivare ad avere autori nuovi anche nelle stagioni di provincia con gli abbonati. Io credo che anche loro si divertirebbero, ma c’è il timore da parte di chi programma che la serata rimanga vuota. Appena ti sposti nelle città di provincia ci sono luoghi inarrivabili per le giovani compagnie.

A Milano, in teatri come l’Elfo Puccini o il Piccolo al Parenti, fanno qualche classico ma anche cose contemporanee. E il pubblico apprezza.

Con MaMiMò è da vari anni che lavorate sul territorio in questa direzione.

Io non partecipo direttamente a creare la stagione teatrale, ma la compagnia sta facendo un lavoro fantastico, la stagione di quest’anno è bellissima e il teatro è sempre pieno, qualcuno resta anche in piedi o rimane fuori. E’ un’isola felice.

E’ giusto lavorare sul territorio a livello di progettazione. Poi, per quanto riguarda le produzioni è bello che gli spettacoli vengano visti da più gente possibile. Io spero sempre che i miei testi raggiungano il maggior numero di persone possibili. I nostri coetanei inglesi e francesi ci sono. Perché noi no? Solo perché siamo in paese culturalmente arretrato?

homicide house

Foto da Homicide House, in scena in Fucina il 10 febbraio 2018.

 

Quali sono i temi che ti interessa di più raccontare?

Nei miei testi non c‘è un filo conduttore, vorrei sempre toccare temi diversi. Il filo conduttore piuttosto è lo sguardo. E anche questo vorrei cambiare, o forse cambia inevitabilmente. Mentre cambia l’autore cambia il modo in cui guarda le cose. Sto scrivendo un sacco di cose di cui non saprei dire qual è il tema. Lo sguardo che se fossi io spettatore mi farebbe riflettere sulla nostra realtà, parlare dell’uomo l’ha già fatto Shakespeare, ogni epoca però ha il proprio linguaggio.

Quindi non lo so, adesso vorrei fare una cosa sull’ambiente. Mi piacerebbe cambiare linguaggio e codice, ad esempio toccando il cinema, lì facendo anche il regista mi devo porre anche una serie di problemi, di interrogativi e di stimoli diversi.

Vorresti dire qualcosa a chi verrà a vedere Homicide House?

E’ stato un progetto molto felice. Non so se è una parabola o una dark comedy, io cerco di non definirla. Mi interessava chiedermi quali sono i valori della nostra epoca o quali non sono, ma farlo anche in maniera divertente e inaspettata.

Nell’estate 2017 di Verona torna Cecità spettacolo al buio.

By estate2017, Teatro
Quest’estate torna a gran richiesta lo spettacolo teatrale che vi ha fatto emozionare con gli occhi chiusi! Dopo il successo del suo debutto ci è sembrato giusto riproporre a Verona per l’estate 2017 lo spettacolo di teatro contemporaneo di Fucina Culturale Machiavelli!

CECITA’
uno spettacolo al buio

di Fucina Culturale Machiavelli
liberamente ispirato al romanzo di J. Saramago
1-2 luglio
Forte Sofia
repliche alle ore 18, 19, 21, 22
posti limititati, necessaria la prenotazione
 
Cecità
di Sara Meneghetti
regia Alice Grati
musiche originali Stefano Soardo
scene Marilena Fiori
con Anna Benico. Sabrina Carletti, Mirko Segalina, Stefano Zanelli
 
Cosa accadrebbe se il mondo all’improvviso diventasse cieco?
Da questa domanda parte José Saramago, che nel suo romanzo distopico racconta un’epidemia di mal bianco e il modo in cui gli uomini e la società reagiscono. L’idea cardine dello spettacolo è di immergere fisicamente lo spettatore nella storia, facendolo diventare protagonista e costruendo quello che è un percorso di discesa e risalita, di scoperta dell’inferno e purificazione, in cui tutti i sensi sono coinvolti. Le voci degli attori guidano e accompagnano, raccontano e fanno rivivere.
Ad ogni spettatore resta il compito di completare tutto ciò che non possono vedere con l’immaginazione.
 
Le repliche permettono un numero limitato di spettatori per volta, quindi è importante prenotare: scrivici a biglietteria.fcm@gmail.com 
 
Biglietti
€ 15 intero
€ 12 ridotto under 30-over 65
 

Forte Sofia - vista dall'alto

Forte Sofia è un forte austriaco dall’architettura suggestiva che si trova sulle colline di Verona, gestito da un’associazione di giovani fortissimi e “innamorati di Verona”, come loro si definiscono, che se ne prendono cura e lo tengono aperto.

 
Per la struttura del luogo consigliamo per lo spettacolo un abbigliamento comodo e caldo, da evitare i tacchi!
Lo spettacolo si terrà anche in caso di pioggia.
Per tutte le foto e il backstage segui l’evento sulla nostra pagina Facebook.
 

Quattro attori e un frigo. Intervista a Niccolò Matcovich, regista di Compagnia Habitas.

By Stagione 16.17, Teatro, TuttiNo Comments

Chiacchieriamo con Niccolò Matcovich, autore, dramaturg e regista diplomato alla Paolo Grassi e fondatore di Compagnia Habitas, in scena con il suo ultimo lavoro Surgèlami nella stagione 2016-2017 di Fucina Culturale Machiavelli.

  • Niccolò raccontaci com’è nata Compagnia Habitas.

In realtà è nata per sbaglio, io non conoscevo gnomo, che sarebbe Livia Antonelli ma io la chiamo gnomo, informalmente. Ci siamo incontrati Read More

Luca Mammoli Generazione Disagio

Intervista a Luca Mammoli, attore e autore di Generazione Disagio

By Teatro, TuttiNo Comments

Inauguriamo il Blog della Fucina!! Nostra prima cavia e ospite Luca Mammoli, attore e autore del collettivo Generazione Disagio, che apre la stagione di teatro 2016-2017 di Fucina Culturale Machiavelli al Teatro ex Centro Mazziano con il loro spettacolo d’esordio Dopodiché stasera mi butto.

Luca, raccontaci com’è nata Generazione Disagio.

Fondamentalmente eravamo un gruppo di attori che avevano fatto la scuola insieme. Per un paio d’anni, dopo il diploma in Paolo Grassi, ognuno ha lavorato per i fatti suoi, a briglia sciolta. Poi, dopo due anni, Enrico fa “mettiamoci insieme, facciamo qualcosa”, quasi più per rinsaldare l’amicizia che per altro. Tutt’oggi non siamo costituiti come compagnia, siamo un collettivo, che si prefigge come scopo il teatro, ma non solo. Ci piace promuovere attività culturali sul territorio, coinvolgendo creatività di altri settori, musicisti, disegnatori.

Quale territorio?

La base è Milano, ma nessuno in realtà è milanese. Io sono umbro, Enrico di Genova, Graziano pugliese, Andrea è l’unico milanese per metà. Insomma ci siamo trovati perché volevamo fare cose nostre, dire la nostra, cosa che anche partecipando a produzioni di grandi teatri non ci era possibile. Il tutto è nato con delle cene, attorno a un tavolo, mettendo insieme degli spunti su cui scrivere a ruota libera. Quando abbiamo capito che era materiale che ci interessava davvero ci siamo chiesti: come renderlo drammatizzabile? Ci siamo dati una scadenza, il concorso Scintille del Festival di Asti. L’abbiamo lavorato, con materiale trovato qui e là, banchi di scuola, pezzi di recupero. A tre giorni dal debutto, non scherzo, mancavano tre giorni, avevamo questo spettacolo che parlava di suicidio, e ci siamo guardati in faccia: era un pippone. Allora Riccardo (il regista, ndr) propone: “Perché non ci giochiamo su?” E l’ironia ha ribaltato tutto. E’ nato il gioco. Questo modo di parlare dei problemi ma con ironia, un’ironia amara, pungente. Siamo andati al Festival ed è stato da subito un successo. Non abbiamo vinto, menzione speciale. Ma da lì, una cosa tira l’altra. Abbiamo conosciuto Tindaro Granata e Carmelo Rifici di Proxima res, loro si sono innamorati dello spettacolo e hanno deciso di produrlo. E dopo due anni siamo quasi arrivati alle cento repliche.

Voi quindi vivete di questo?

Non ho capito la domanda. La vita nel teatro? Alti e bassi, è difficile, lo sapete anche voi. Abbiamo anche altro, ma ci si prova, ci si prova.

generazione disagioProgetti futuri?

Beh, lo spettacolo ha già un seguito. Abbiamo portato Dopodiché al Teatro della Tosse, a Genova. All’inizio loro non sembravano convinti, noi abbiamo insistito per allungare la tenitura. Tre giorni in più, e vediamo come va. Hanno acconsentito e, in quei tre giorni, grazie al passaparola il teatro si è riempito tanto da dover mandare via la gente. Sono rimasti molto colpiti e ci hanno proposto: “Ve ne produciamo un altro, vi va?” Come dire di no.

Karmafulminien è stato in scena lo scorso dicembre al Teatro Elfo Puccini, a Milano. Ed ha avuto un bel successo. Ora non ci dispiacerebbe chiudere la trilogia e fare un terzo, vedremo. Nei prossimi mesi saremo lontani e sarà un periodo per capire.

Parliamo dello spettacolo, in Dopodiché stasera mi butto, hai parlato di risata amara. Siete Generazione Disagio, ma sentite in qualche modo una responsabilità verso la generazione di cui e a cui parlate?

Lo spettacolo parla di noi, di tutta una generazione, quindi si ride perché ci si riconosce. Si ride di sé stessi,  ( Il palcoscenico è uno specchio, no?) Esatto, non scomodiamo grandi temi come la fame nel mondo, ma prendiamo per il culo gli aspetti quotidiani della nostra vita, i piccoli suicidi quotidiani e il modo in cui noi ci buttiamo via nell’inazione, passando il tempo a piangerci addosso. Dopodiché è una gara a chi è più bravo a piangersi addosso. Ma lo scopo è tutto l’opposto. Rendersi conto di questo, e dopo aver riso fermarsi a pensare: queste risate mi sono rimaste un po’ in gola, questi tre personaggi mi fanno anche un po’ schifo. Una volta uno spettatore di Monza ci ha scritto una mail. Disse che lo spettacolo l’aveva un po’ infastidito, gli avevamo fatto schifo. Senza volerlo, ci aveva fatto un gran complimento. Questo è quello che vogliamo. Non ti chiediamo di eliminare la fame dal mondo, uno non saprebbe nemmeno da dove cominciare, ma di partire dal tuo piccolo. Spegnere lo smartphone mezz’ora al giorno, leggere un libro invece di scorrere la colonna delle notifiche di facebook. In questo senso lo spettacolo è un incitamento all’azione.

generazione disagio

Chiudiamo con due domande di pancia, qual è il rischio più grosso che hai mai corso? E qual è stata invece la tua mossa vincente?

Quando mi hanno fatto uno scherzo e durante una replica ho bevuto mezza bottiglia di vodka in scena. Scherzo (ma è successo davvero!). Seriamente, il rischio più grosso che ho corso è stato quando ho deciso di fare la Paolo Grassi. Avevo un lavoro, uno stipendio, una ragazza. E’ stato un lancio nel vuoto.

Ma quella è stata anche la mia mossa vincente, quindi la risposta alle due domande è la stessa. Se uno non rischia non vince. La comfort zone non ti fa scoprire niente. Bisogna mettersi in gioco, continuamente. Questo ti può portare a grandi incazzature quando le cose non vanno come vuoi, ma veder realizzato qualcosa per cui hai sudato ti dà grande libertà, e soddisfazione. Ti dà gusto.

www.generazionedisagio.com
https://www.facebook.com/generazionedisagio/?fref=ts
https://www.facebook.com/events/1346485745392833/

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Teatro ex Centro Mazziano - Via Madonna del Terraglio 10, Verona