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Guai a smettere di cantare

“E così venne l’inverno e la formica aveva la tana piena di scorte di cibo, ma si annoiava a morte.
A un certo punto sentì una voce sulla superficie e si affacciò: era la cicala, tutta infreddolita, che vendeva le sue canzoni al miglior offerente. La formica la ospitò, di provviste ce n’erano in abbondanza. L’inverno prese più sapore”.

Questo non è un anno come gli altri. Questo è l’Anno della Cicala.
Non è il tempo di essere produttivi, ma è il tempo di rallentare.
Non è il tempo di rincorrere i nostri mille impegni, è il tempo di concentrarsi sulle poche cose essenziali che, caduto tutto il resto, ci sono rimaste davanti agli occhi.
Non è tempo di riflettere su quanto effimera sia la vita, che ormai la vita ce l’ha già fatto capire.
Non è tempo di gridare che le fake news ci stanno colonizzando i cervelli, perché i nostri cervelli sono ormai a ferro e fuoco.
Non è tempo di rimpiangere i limiti della nostra libertà, perché non esiste libertà senza responsabilità. E l’assenza di limiti è solo un limite di visione.

Oggi, più che in altri momenti, sappiamo che ogni nostra azione incide sulle persone che ci stanno intorno, le quali sono legate ad altre persone che non conosciamo, le quali viaggiano e ci fanno sentire congiunti di ogni essere vivente sul pianeta.
Questo è l’anno in cui, a dispetto di tutto, noi continuiamo a cantare. Testardamente. Finché c’è fiato. Finché il freddo non sia entrato nelle ossa, nelle orecchie, nella mente.
Questo è l’anno in cui ciò che è essenziale deve lottare per svolgere il suo essenziale compito: tenerci in vita, nonostante l’inverno. La cicala è sorda a chi prova a infilare l’arte sullo scaffale delle cose inutili, di cui si può fare a meno. Secondo la favola, la cicala d’inverno muore di freddo. Mentre è chi la lascia al freddo che muore dentro.

La cicala canta di gioia, canta la vita, canta per attrarre i suoi simili (senza pubblico il suo frinire è inutile, si affievolisce, si spegne). Questo è l’anno in cui cantiamo ancora più forte. Senza pensare troppo che sennò ci si appesantiscono le ali. Quest’anno solo sottili o plateali meccanismi di evasione. Perché ognuno di noi è cicala, indipendentemente da ciò che fa per vivere.
È cicala chi ama il proprio lavoro, chi usa la creatività per renderlo migliore.
È cicala chi racconta una storia ai propri bambini, o ai bambini degli altri.
È cicala chi osa immaginare un mondo diverso, in meglio, ed è così folle da cercare di costruirne un pezzetto al giorno.
È cicala chiunque non si rassegna alle cose sbagliate ma intoccabili perché “si sono sempre fatte così”.
Cicala è chiunque sogna, chiunque sceglie di non smettere di cantare.
Questo è l’Anno della Cicala perché abbiamo deciso che non è più il tempo di restarcene chiusi ognuno nella propria tana.

Nell’Anno della Cicala Fucina ha scelto di programmare. Una stagione di teatro e di live music, una stagione di musica classica, nel cuore della città, una stagione di corsi e laboratori, di incontri e di libri. Fucina ha scelto di aprire le proprie porte. Con la responsabilità che ci contraddistingue, con la consapevolezza di rendere un servizio del quale noi siamo i primi ad avere bisogno. Con la parola “essenziale” che lampeggia d’orgoglio nei nostri cervelli ogni volta che qualcuno prova a sostenere il contrario. La nostra città ci ha detto di non volersi fermare. Finché c’è speranza noi canteremo. Continueremo a creare lavoro. A generare occasioni per uscire dal nostro isolamento mentale. Dalla nostra tristezza e dalla nostra solitudine. A rincorrere il bello e a portarlo qui a Verona.

Giocheremo secondo le regole. Perché rispettare le regole significa rispettarci a vicenda e proteggere chi amiamo. Apriremo le porte con alcune novità, ma consapevoli che sia solo un periodo di passaggio. Un periodo in cui non possiamo smettere di vivere. Ci opponiamo fermamente all’idea che essere cicala significhi essere irresponsabili narcisisti che fanno divertire mentre la gente per bene lavora. Cantare per noi è vivere d’arte e per vivere d’arte non è necessario essere baroni annoiati. È sufficiente aver intravisto un’altra possibilità. Essenziale.
È sufficiente non dimenticarsi che, alle favole, il finale si può anche cambiare.

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